Uno degli effetti positivi della grande mobilitazione popolare in sostegno al popolo palestinese è stato l’ondata di occupazioni delle scuole: anche se non è una novità – occupazioni nelle scuole se ne vedono, con diversi livelli di capillarità e partecipazione, più o meno tutti gli anni – è innegabile che quest’anno per la prima volta da almeno un paio di lustri queste occupazioni si sono andate a costruire all’interno di un clima politico di fermento anche all’esterno.
Dal ’68 in poi in Italia non c’è mai stato un movimento di rivendicazione dal basso senza la presenza forte di studenti e studentesse, che in alcuni casi insieme ai poco più grandi universitari hanno favorito l’accelerazione nella costruzione di una proposta politica alternativa. Non stupisce quindi il coinvolgimento della popolazione studentesca nelle mobilitazioni di questi mesi, che spesso li hanno visti in prima fila – grazie forse anche alle affinità “anagrafiche” con i Giovani Palestinesi d’Italia – nei cortei, negli scioperi, nei blocchi e anche davanti alla repressione dello Stato.
Repressione che da sempre agisce su due binari: se da una parte c’è l’azione giudiziaria, che ha il duplice compito di punire le figure più in vista e di spaventare tutti gli altri fino a fiaccarne l’iniziativa, dall’altra parte c’è il livello repressivo “sommerso”, quello che lo Stato non porta avanti direttamente – o se lo fa è in minima parte – e che appalta invece ai manovali storici della borghesia e delle sue istituzioni: i fascisti.
Premetto che qui lo scopo non è fare un’indagine dettagliata sulle organizzazioni neofasciste, i loro schieramenti, le loro divisioni o altro, quello magari arriverà più in là, tempo permettendo.
Certo è che per questi episodi è proprio al neofascismo “nostalgico” che bisogna guardare, quello macchiettistico fatto di commemorazioni a Predappio, retorica antisistema e bande di picchiatori, in Italia fatto di una miriade di organizzazioni più o meno conosciute ma diffuse capillarmente1, con numeri abbastanza scarsi da nord a sud ma sicuramente con la capacità di aggredire e terrorizzare gruppi di giovanissimi in tanti casi alle prese con la prima esperienza di politica attiva.
Come fa notare Dante Barontini sulle pagine di Contropiano, gli attacchi alle scuole arrivano in rapida successione, sempre con modalità ed esecuzione simili, e sempre con la lenta risposta poliziesca, solitamente solerte nell’intervenire nei pressi di scuole occupate – solitamente anzi presidiate da almeno una pattuglia Digos – e da questi elementi è evidente che dietro agli attacchi nelle varie città ci sia una mano che li ha orchestrati.
Non ho la sicurezza di Barontini nell’affermare che la mano sia quella del governo, non perché ritengo che non ne abbia l’interesse – tutt’altro – ma perché la storia ci insegna che spesso l’apparato statale agisce autonomamente, quando si tratta di ristabilire la pace sociale, e che quando lo fa si serve in modo abbondante dei fascisti.
Appurato che questi attacchi sono di matrice fascista, che sono stati effettuati su commissione e che l’obiettivo è quello di agire in modo complementare all’apparato giudiziario per stroncare sul nascere un forte movimento di protesta nelle scuole – con il rischio che poi si diffonda nel resto della società – è bene dire un paio di cose.
La prima è che è vero che la mobilitazione solidale con la Palestina ha prodotto un risveglio delle coscienze importante, ma il suo contraltare è una polarizzazione delle posizioni: in questa polarizzazione la fetta di popolazione che prova indifferenza, nel migliore dei casi, o consenso, nel peggiore, per azioni squadriste come quelle portate avanti nelle scuole è in aumento, e questo ha indotto la regia ombra degli attacchi a ritenere opportuno l’utilizzo dei fascisti come manovalanza.
La seconda è che questi attacchi vanno letti in un quadro più ampio di qual è il ruolo dei fascisti in questo frangente storico: mentre l’imperialismo occidentale spinge sempre di più sull’acceleratore verso la guerra aperta con Russia e Cina, le classi lavoratrici sono recalcitranti a farsi coinvolgere dalla retorica bellica; certo, dietro ad un’avanguardia che già oggi fa controinformazione e si attiva per sabotare l’industria bellica c’è una maggioranza silenziosa che non partecipa direttamente, ma che ha dimostrato di poter essere coinvolta con le parole d’ordine giuste.
Gli attacchi dei fascisti alle scuole visti sotto questa lente sono anche una palestra per azioni che un domani potrebbe essere necessario per lo Stato condurre contro un picchetto fuori da una fabbrica, nel piazzale di un porto o in una stazione ferroviaria. Quanto più il movimento dei lavoratori renderà difficile la messa a regime dell’economia di guerra, tanto più violenta e fuori dalle regole dello stato borghese sarà la risposta del capitale.
Questo è un problema che colpisce tutta la parte di mondo che fa parte del centro imperialista a guida USA-NATO, che si sta già preparando: la criminalizzazione degli antifascisti, come ad esempio per i fatti di Budapest o per la recente classificazione di organizzazioni Antifa come “terroriste” da parte degli Stati Uniti, è uno strumento di cui la controparte si sta già servendo per costruire il nemico sul fronte interno e attraverso l’azione repressiva sgomberare il campo per permettere ai fascisti di agire indisturbati.
Per quanto in ritardo – al momento non si vede all’interno dei movimenti una consapevolezza diffusa di questa dinamica – il tempo per organizzare una risposta antifascista militante, capace di complementare il confronto dialettico politico con la pratica antifasciste per le strade, ancora c’è. La risposta infatti, come sempre, non può prescindere dalle strade: con i fascisti l’unica soluzione è la violenza di classe.
- Per citarne solo qualcuna, oltre alle note Forza Nuova e Casapound, ci sono Lealtà e Azione, Veneto Fronte Skinhead, Do.Ra., ma anche gruppetti informali legati da frequentazioni simili ad esempio in curva, palestre di sport da combattimento o nel giro dei concerti naziskin. ↩︎